Facebook ha cambiato il mondo

Già, lo ha cambiato. Più di una carestia, più di una guerra nucleare, più di un’invenzione tecnologica o di una scoperta scientifica. È profondamente mutato, in una manciata di anni, il nostro modo di interagire, di veicolare informazioni e svaghi, di conoscere fatti e di esserne manipolati, di emozionarci.

Ecco la parolina magica. Emozionarci.

Perché è su questo che praticamente tutti i social – ovviamente prima ho citato Fb in quanto monolite planetario, innegabile rappresentante principale di tutta la categoria, app comprese – fondano il loro funzionamento e il loro business model (tradotto: ci pagano le bollette e ci fanno guadagno). Lo basano su come reagisci ai contenuti, esprimendo tutta la tua gamma di emozioni, dalla gioia alla rabbia. E, purtroppo, la risposta alla domanda «Se e come i social media ci manipolano il cervello» non può essere data senza un brivido lungo la schiena.

Immagine ironica, ma al tempo stesso forte, provocatoria, per certi versi speranzosa…
(Photo by Thought Catalog on Unsplash)

il meccanismo, se ci fermiamo un attimo a pensarci, è terribilmente e paurosamente semplice.

Più tempo passi a “scrollare” lo schermo, quindi più ore stai su Facebook, Instagram, Twitter, Tik Tok o qualsiasi altra app o social, più dati stai regalando ai colossi del digital. Ricordati, stai regalando notizie e immagini su di te e i tuoi cari, i tuoi gusti, le tue preferenze, le tue abitudini, i tuoi acquisti, le tue passioni, le tue gioie e le tue incazzature. Fuori dai social invochi la privacy a ogni piè sospinto, dentro la grande bolla rosa del telefonino ti metti a nudo in ogni minuto, lo fai gratis e ringrazi pure.

Più dati degli utenti le company hanno da rivendere (glielo hai permesso tu stesso, quando con due clic ti sei iscritto senza leggere le condizioni del servizio: non lo fa nessuno, non l’ho fatto nemmeno io), più guadagnano.


Mauro Tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa.


Più si arricchiscono e più si possono permettere algoritmi precisi e gigantesche schiere di potenti server, per monitorare ogni secondo le tue reazioni e le tue emozioni, in modo da far apparire sul tuo smartphone contenuti sempre più adatti a farti reagire, creando quel coinvolgimento (il famigerato engagement, croce e delizia di ogni attività di marketing sui social) che tu tanto desideri.

Più ti conoscono, più il tuo feed sarà disegnato su misura per te, per farti scrollare lo schermo senza sosta, dandoti scariche di adrenalina, di soddisfazione, passione, divertimento o disgusto.


Sono i social media che creano le tue emozioni

Sono loro che creano le tue emozioni, con l’unico obiettivo di farti restare più tempo possibile sull’app. Così guardi più pubblicità, così regali più dati, così coinvolgi i tuoi amici e parenti, che regalano anche i loro dati, eccetera eccetera.

Sei un criceto dentro la ruota. Alimentata dalle tue reazioni ai video, ai post, alle foto che vedi.

Il problema è proprio questo. Che noi utenti siamo il criceto che corre dentro la ruota, senza un attimo di respiro e senza fermarsi mai. La ruota, ovviamente, sono i social media. Che vogliono una cosa sola. Che passiamo sempre più tempo sulle loro piattaforme, e che ci spendiamo (oltre alle nostre giornate) anche i nostri soldi.

Come lo fanno? Manipolandoci il cervello. Come scrive Pietro Minto su Il Tascabile in un articolo su Facebook:

Per “hackeraggio di cervello” si intende quella serie di pratiche con cui un utente viene ricompensato e stimolato dai siti e le applicazioni: i video con l’autoplay, le notifiche sempre accese, le chat che si aprono automaticamente, i commenti e i like che fanno sentire importanti.

Sempre sul versante del coinvolgimento indotto e incoraggiato, Sixty minutes, la famosa trasmissione di inchiesta giornalistica della Cbs, ha mostrato delle ricerche alla California State University. Gli scienziati del dipartimento di scienze sociali e comportamentali stanno esaminando gli effetti che la tecnologia ha sui nostri livelli di ansia e sul funzionamento del nostro cervello.

Il logo della trasmissione Sixty minutes, un mito dell’informazione televisiva statunitense. (Cbs News)

In sostanza (detto con termini semplici e profani) quando non hai più in mano il tuo telefonino e lo riponi, il cervello produce un ormone, lo stesso che negli uomini primitivi azionava il meccanismo fight-or-flight (reazione di attacco o fuga) in risposta a un pericolo. I dati dicono che in media ciascuno di noi controlla il telefonino almeno ogni 15 minuti (ma anche tu, purtroppo come me, lo fai molto più spesso) e che in almeno metà dei casi lo fa anche se non ci sono notifiche di mail, messaggi o telefonate.

Perché lo facciamo? Gli scienziati spiegano che dal nostro cervello arriva un segnale che ci dice: «Uè ciccio, è un po’ troppo che non controlli Facebook, è un po’ che non guardi le email, vai a vedere, che non ci sia qualcosa di nuovo e te lo sei perso».

Questo fa scattare il grilletto dell’ormone fight-or-flight, che genera l’ansia. E, ovviamente, l’unico modo per placare questa ansia è quello di precipitarsi a controllare continuamente il telefonino. Una scena che vediamo e viviamo su noi stessi tutti i giorni, decine e decine di volte al giorno.


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Il paradosso, piuttosto triste, è che mentre nell’uomo primitivo questo ormone aiutava a evitare il pericolo, in quello moderno – scatenando l’ansia di perdere qualche “vitale” notifica su Instagram – va solo ad aumentare il conto in banca dei colossi del digital.

Infatti, dicono gli scienziati della California State University, quando metti giù il telefonino non si spegne il cervello, che continua a produrre l’ormone che ti aumenta l’ansia. Infatti, in un interessante esperimento, si vede che mandando continue notifiche sul telefonino di una persona che non può rispondere, ma che le sente arrivare, i suoi livelli di ansia continuano ad aumentare sempre più, a ogni nuovo messaggio che gli balugina sul display.


La gamification: ti condiziono giocando

Un altro interessante segmento di questo scenario riguarda la cosiddetta gamification. Infatti, visto che i colossi tecnologici chiedono contenuti sempre più stimolanti da proporre agli utenti, si è cominciato a usare le caratteristiche tipiche dei videogames (grafica giocosa, gare, premi, entusiasmo) per creare contenuti ricchi di competizione, di divertimento e di qualsiasi altra forma di coinvolgimento che ti inchiodi allo schermo del tuo smartphone.

In Silicon Valley – racconta un esperto del settore – stanno ragionando su uno degli aspetti più interessanti sulla gamification: la sua efficacia, che resta inalterata sia in positivo e in negativo. Riesce cioè a creare, al tempo stesso, forti comportamenti di dipendenza nell’utente, inducendolo a ripetere le stesse azioni inebetite su un’app per restare attaccato al telefono per ore, ma anche a portarlo a mangiare in modo sano, fare un buon allenamento o camminare almeno mezz’ora al giorno.

Quindi queste tecnologie all’avanguardia posso essere usate sia per il bene che per il male, tutto sta nelle intenzioni di chi le possiede e ne finanzia lo sviluppo.

Ma sulla gamification ho intenzione di scrivere a breve un articolo dedicato. Qui siamo rimasti sul versante del coinvolgimento studiato a tavolino & dintorni, che siano marketing, vendita pura e semplice o anche politica.


In conclusione

Un piccolo aneddoto per chiudere. Una start up di informatica della Silicon Valley, due anni fa, ha creato un’applicazione chiamata Space. L’app, quando clicchi sull’icona di un social media per aprirlo, mostra una schermata (molto zen) che dice «Respira con me» e ritarda l’apertura del social di 12 secondi. Gli sviluppatori, ingenuamente, hanno chiesto alla Apple di inserirlo nel suo Store. Inutile dire che il Colosso di Cupertino ha rifiutato.

Per finire, ti ricordi quello che ho scritto qualche riga più su?

queste tecnologie all’avanguardia posso essere usate sia per il bene che per il male, tutto sta nelle intenzioni di chi le possiede e ne finanzia lo sviluppo

La prossima volta che apri un qualsiasi social media sul tuo smartphone, che tu sia in autobus, sul divano, in coda a pagare il caffè, pensaci.


Mauro Tosetto

Mauro Tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa.


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I social media ci manipolano il cervello? Il coinvolgimento artificiale ci trasforma in criceti

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