Spiego questo titolo strambo, ok?

Inizi di febbraio 2018. Su Twitter si animò un discreto dibattito sul fallimento dei negoziati per la Pernigotti, e relativa – paventata – chiusura dell’azienda.
Si contestava al ministro del Lavoro, nonché vicepremier, Luigi Di Maio di aver promesso che avrebbe salvato la Pernigotti.

Così il politico campano si è preso una valangata di pernacchie e di contestazioni, a colpi di tweet feroci, su questa mancata promessa. A chi lo difendeva è stato risposto più o meno: “il problema non è tanto o non solo non essere riusciti a salvare la Pernigotti, ma il fatto di averlo promesso”.

Nella comunicazione le promesse e il biliardo non vanno d'accordo _twitter

Qui guardo la faccenda non certo dal punto di vista politico, ma da quello comunicativo.
Quindi non ci interessa niente se ha davvero ragione un sindacalista che dice che “al Ministero del Lavoro sono messi così male che ormai non rispondono nemmeno più al telefono”, oppure se sia vero che per la Pernigotti abbiano fatto riunioni su riunioni h24 con i sacco a pelo e la baionetta tra i denti.

Dal punto di vista della comunicazione, invece, il problema è proprio quello della promessa.

Ed è inutile, magari a posteriori, spaccare il capello in quattro, arrampicarsi sulle parole usate e dire “beh, no, non si prometteva proprio il salvataggio, ma si parlava di una legge da votare entro la fine dell’anno che avrebbe mantenuto le aziende italiane sul territorio”.

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Inutile perché le dichiarazioni di allora avevano proprio lo scopo di costruire una narrazione, fatta apposta per trasmettere il concetto che l’azienda si sarebbe salvata. Lì si voleva arrivare.

Quindi, che promessa esplicita ci sia stata oppure no, il messaggio che si voleva far passare allora (e che è passato) era questo: “prometto che l’azienda si salverà”.

La morale della favola?
Che nella comunicazione (e soprattutto nella comunicazione politica) quando si trattano dei casi molto delicati che – per esperienza – non si sa bene come andranno a finire (come il negoziato sul fallimento di una grande azienda) è obbligatorio dosare in maniera accurata le parole e tarare per bene il meccanismo comunicativo.

Cioè?
Le promesse non vanno d’accordo con il biliardo.

Cosa c’entra il biliardo?

Nella comunicazione le promesse e il biliardo non vanno d'accordo
(Photo by CMDR Shane on Unsplash)

C’entra, perché devi immaginare la tua strategia di comunicazione come un tiro di sponda a biliardo.
Non ti deve interessare tanto il punto dove mandi a sbattere la biglia sulla prima sponda, ma quanto i rimbalzi successivi.

Mauro Tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa.


Il cuore della faccenda non è che il primo rimbalzo sia efficace. Ma riuscire a indirizzare la boccetta nel punto che vuoi tu, dopo cinque rimbalzi.
Devi capire, immaginare, studiare e prevenire le conseguenze dopo la quinta sponda. Ecco a che serve una strategia di comunicazione, al posto dell’aria fritta sparata on line un tanto al chilo.

Ecco perché la promessa al volo, il proclama tanto per fare, la diretta su Facebook – in certi casi – sono doppiamente errati.

1- Sono inutili sul momento, perché la gente recepisce che è un messaggio gonfiato e preparato ad hoc per suscitare una reazione positiva non suffragata dai fatti.

2- Sono dannosi a gioco medio-lungo. Perché, invece di andare a punto, la traiettoria della biglia ti si rivolta contro e regali la partita all’avversario.

E questo a biliardo, come nella comunicazione, è un errore da penna blu.

Mauro Tosetto

www.maurotosetto.it

(Photo by CMDR Shane on Unsplash)


mauro tosetto

Sono un giornalista, mi occupo di comunicazione e di uffici stampa. Per conoscermi meglio basta un clic.


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Nella comunicazione le promesse e il biliardo non vanno d’accordo

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